LA MULTIFORME BELLEZZA
Ivan Quaroni
Ogni cosa che puoi immaginare,
la natura l’ha già creata.
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Albert Einstein
Qualcuno ricorderà che nel 2012, Damien Hirst realizzò alla Tate Modern un’installazione intitolata In and Out of Love, in cui svolazzavano migliaia di lepidotteri, molti dei quali (circa 9000) morirono entro la fine della mostra. L’artista inglese non era nuovo all’utilizzo di organismi viventi nelle proprie opere. In A Thousand Years (1990) era toccato a un nugolo di mosche ronzanti sulla testa mozzata di una mucca. Il punto è che Hirst ha sempre preso spunto dalla natura per evidenziare il dramma della parabola esistenziale, l’inevitabile percorso di vita e morte. Può essere discutibile il modo, siamo d’accordo, ma il tema è antico. Per lui le farfalle sono il simbolo dell’effimero, l’incarnazione organica del memento mori, vanità delle vanità. Per il giovane Michael Gambino la faccenda è diversa. I suoi lepidotteri non sono reali, cioè non sono organismi sacrificati sull’altare dell’arte, ma ricostruzioni verosimili, realizzate con pazienza certosina a imitazione della variegata, abbondante, multiforme bellezza della natura. Siamo, insomma, al capo opposto rispetto agli interessi dell’artista inglese. E non si tratta solo di una distinzione formale, ma di qualcosa di più profondo, qualcosa come una visione del mondo, insomma un modo di considerare le cose, in questo breve lasso di tempo che chiamiamo “vita”. Per Michael Gambino la farfalla è l’epitome dell’immenso libro della creazione, un compendio, se vogliamo, dell’ordine naturale. Ma, appunto, l’ordine, l’armonia, la perfezione (possiamo ancora chiamarla così?) sono appunto attributi della bellezza. Gambino sembra concentrarsi soprattutto sul significato metamorfico rappresentato dal lepidottero, organismo che perviene alla bellezza attraverso una trasformazione sensibile, simile alla germinazione vegetale. E, infatti, viste in lontananza, le sue mappe geografiche, i suoi planisferi costellati di farfalle variopinte, fissate al supporto per mezzo di spilloni, come i reperti di un’immaginifica collezione, somigliano quasi a diagrammi fioriti. Intendo dire che le sue opere offrono, fin dal primo sguardo, un’impressione di generosa dovizia, di fertile eccedenza, che non definirei necessariamente barocca. Se, infatti, nel Barocco, prevale la retorica dell’artificio, qui si afferma, invece, un principio di mimesi caro agli antichi, consistente non tanto nella riproduzione pedissequa delle forme naturali, ma nella loro assimilazione empatica. Assimilazione che presuppone un’adesione emotiva al grande disegno della creazione. Le opere di Michael Gambino, realizzate manualmente, con incredibile acribia e, ahi me!, inevitabile lentezza,
risuonano con quelle di altri artisti contemporanei che hanno usato come sfondi le mappe geografiche. Gambino, però, usa un linguaggio basato sul numero, sulla quantità e l’accumulo di elementi ricorsivi. Per lui le farfalle, modellate e dipinte in una varietà illimite di esemplari, servono a testimoniare il ricco campionario che la natura predispone perfino in una singola specie di organismi. Così, più che la presenza di geografie e planisferi, l’artista si concentra sulla rappresentazione grafica di flussi energetici. La sua formazione scientifica, com’è stato più volte rilevato, contribuisce