(Bari, 1935 - Roma, 1968)
Figlio di un funzionario della polizia che tra il 1940 e il 1941 veniva trasferito, con tutta la famiglia, a Tirana in Albania, Pino Pascali avrebbe riportato dalla guerra impressioni infantili destinate a lasciare in lui e nella sua opera tracce durature. Dopo gli studi al liceo artistico di Napoli, nel 1959 conseguiva il diploma all’Accademia di Belle Arti di Roma, frequentando i corsi di scenografia indetti da Toti Scialoja. Dedicandosi a vari sport, dalla pesca subacquea alla motocicletta, (che sarebbe stata, nel 1968, causa della sua morte prematura), all’aeromodellismo, avviava una vivace attività lavorativa nel campo pubblicitario e delle scenografie per la televisione. Numerosi sono i progetti e i disegni, i bozzetti e i fondali che Pascali realizzava in questi anni di grande fermento creativo: disegni e progetti che in nuce già contengono la successiva produzione scultorea e installativa dell’artista; e insieme, lavori che dimostrano la sua capacità di rispondere alle esigenze di un mercato appartenente alla società dei mass-media, del mondo consumistico, senza perdere la propria personale verve creativa, anzi esaltandola in un confronto vivace e dialettico con le richieste dei suoi stessi committenti. Saranno questi i temi della grande mostra autunnale in Galleria dedicata a Pino Pascali e destinata ad approfondire un tema, quello dei lavori su commissione per la pubblicità – era l’epoca del Carosello, come dimenticarsene? – ancora da scoprire e da apprezzare nella sua meravigliosa fantasia e ricchezza immaginifica.
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A partire dal 1964 iniziava il suo momento di maggiore creatività, “…tesa a far coincidere un suo struggente attaccamento al mondo infantile del gioco (e del giocattolo) con una spregiudicata interpretazione delle contraddizioni del mondo contemporaneo…” (Lara Vinca Masini). È la fase dei Ruderi romani, dei Pezzi di donna, delle Armi: i primi venivano esposti alla Galleria La Tartaruga nel 1965, insieme alle solenni e monumentali parti anatomiche femminili. Gli ordigni giocattolo, ottenuti per assemblaggio di tubi idraulici, carburatori, manopole, lamiere, legni e altri pezzi di recupero, furono invece esposti alla Galleria Sperone nel 1966. A partire dallo stesso anno, il tema dominante diventava la natura, come in Mare, una massa di onde stilizzate, realizzate in tela estroflessa, nelle Code dei delfini, del Dinosauro, realizzato a sezioni parallele. Seguivano le opere come 1 mq di terra, 2 mq di terra, del 1966-’67, e 32 mq di mare circa, del 1967, formate da parallelepipedi rivestiti di terra ed appesi in alto, sulla parete, o a terra, con le quali Pascali andava inserendosi nell’area minimalista delle sculture primarie. A cavallo degli anni 1967-1968 si intensificava il suo interesse per il mondo dell’agricoltura, un’apertura dall’arte della realtà che lo impegna nella “ricostruzione della natura”. Nel 1968 l’Attico ospitava altre due personali: nella prima Pascali proponeva i Bachi da setola, formati da spazzoloni di nylon policromo e quattro grandi ragnatale poste agli angoli delle pareti e all’esterno. Nella seconda l’artista tornava ad uno stato di natura, quello della nativa Puglia: si vestiva di rafia, si circondava di attrezzi primitivi, costruiva un Ponte, Liane, Trappole con lana d’acciaio intrecciata. Sono questi i lavori – compresi la Vedova blu, Pelo, Contropelo, Nido – nati come ripensamento del concetto duchampiano di spostamento del contesto, ma anche di appropriazione e riuso di materiali poveri, con tecniche povere, destinati ad avvicinare il suo lavoro ad operazioni contemporanee di “arte antropologica”
In estate partecipava alla XXXIV Biennale di Venezia; a seguito della scomparsa, la Commissione assegnava alla sua sala il Premio Internazionale per la Scultura.