TELEIOS
Il termine in greco antico “Teleios” si ascrive a tutto il percorso concettuale e artistico di Tentolini, come un filo che si snoda lungo le diverse serie realizzate.
“Teleios”, cioè perfetto, indica sia un tutto compiuto, completo in sé stesso ma denota anche un insieme armonico in cui la proporzione fra le parti tende a un unico fine cioè al bene. L’ideale di bellezza per i greci antichi è ascrivibile al concetto di misura e proporzione: un corpo è bello quando esiste armonia e equilibrio fra le sue parti. il concetto di eros e bellezza in Platone è connesso all'antico aristocratico ideale della kalokagathìa (dal greco kalòs kài agathòs, tutto ciò che è bello-kalòs è anche vero e buono-agathòs, e viceversa). Dalla bellezza di un corpo si risale a quella di tutti i corpi e da qui alla bellezza delle anime e al bello in sé, al vero bene assoluto. Ma l’intuizione estetica contemporanea si è trasformata in consumistica, eppure il bello esiste per se stesso e riposa in se stesso, consumo e bellezza si escludono reciprocamente. Questo è il centro della riflessione attuale.
Giorgio Tentolini, partendo da uno scatto fotografico, dopo un attento studio della luce, mediante l'artificio della struttura dei vari moduli, usando la stratificazione di diversi materiali, dal tulle alla carta o al pvc fino alle maglie sovrapposte di reti metalliche, spinge lo spettatore a congiungere nella retina tutte le intersezioni della “ferrea” trama che ci restituisce il soggetto, prima scomposto dall'artista nei vari livelli di luce incisi.
Avvicinandosi si possono cogliere gli strati di reti che si intersecano e riescono ad emergere mentre ci si muove nello spazio sfruttando la luce. Tentolini riesce a fondere perfettamente un materiale di uso comune, quasi grezzo, con gli intenti della propria poetica, e a trasmettere quella sensazione tramite la quale cogliamo i soggetti dell'artista.
La serie “Pagan Poetry” rimanda ai canoni della statuaria greca, scegliendo proprio classici soggetti: veneri, giovani atleti, divinità, tutti ritratti di giovani donne e uomini nel fulcro della loro giovinezza e bellezza.
Oggi ci troviamo ad affrontare un panorama che spinge a una riflessione tra essere ed apparire, tra essere soggetto e oggetto di consumo immeditato, con caratteristiche fisiche precise che spersonalizzano.
Il consumismo e il costante cambiamento della moda hanno posto gerarchicamente la novità sopra la durevolezza.
Nel ciclo di opere “Elementi per una teoria della Jeune fille” Tentolini parte da scatti fatti a modelle alla fine delle sfilate, quando le ragazze si ritrovano dietro le quinte: ragazze che incarnano il paradigma di bellezza, tuttavia i volti sono privi di identità. Figure giovani e femminili come quelle teorizzate dal collettivo Tiqqun, le “Jeunne-fille” consumatrici e allo stesso tempo merce di consumo, esse sono la merce faro che serve a vendere tutte le altre, la “merce autonoma, che parla e cammina, la cosa finalmente vivente”.
Nei lavori della serie “Presenze” emergono corpi e volti di manichini presi dalla grande distribuzione, anch'essi riflesso di una società che vede sfumare ogni segno distintivo, tanti corpi tutti uguali che finiscono per diventare trasparenti, questo è il loro fine, essere stampelle che spariscono. I volti privi di espressione finiscono in dissolvenza, come nelle creazioni della serie “Fade”. Sempre su questa linea anche le opere dei cicli “Youth” e “Lapse” dove troviamo alcuni particolari di nasi, bocche e occhi, una lente d'ingendimeto su questi paradigmi di perfezione.
Nel progetto “Filtri” Tentolini compie un ulteriore passo avanti: l'artista ritrae tanti volti di donne talmente belle da sembrare un artificio. Sono infatti ritratti ottenuti ricorrendo all'uso di filtri come “Faceapp”. Quando ci si vede modificati da queste app, ci si vede migliorati, più vicini al paradigma attuale, viceversa, tornando all'immagine originale si prova un senso di delusione immediato.
“Abbiamo sviluppato una nuova tecnologia che utilizza le reti neuronali per modificare un volto a partire da qualsiasi foto. Per esempio si può aggiungere un sorriso, modificare l'età, rendersi più attraenti andando a ritoccare occhi, naso, bocca, rimuovendo le rughe ad esempio.”
Ma è fondamentale che la nostra immagine di sé sia autentica, presentando costantemente una falsa immagine di sé, le persone finiscono per perdere del tutto il contatto con sé stessi.
Le Breton parla di fuga da sé quale tentazione contemporanea a cui poter cedere, ora per sottrarsi alla fatica di essere sé stessi, ora per sfuggire dalla difficoltà che implica essere sé stessi.
Da qui il senso di inadeguatezza che pervade la persona che abita la società, quando, nel dover dimostrare di essere sempre all'altezza delle diverse esigenze, fatica a mantenere un'identità stabile.
La bellezza non salverà il mondo se prima non salviamo lei, afferma il filosofo Byung-Chul Han, parlando del culto della levigatezza come ciò che più ha concorso all’impoverimento del concetto di Bellezza. Il culto del mondo della positività, senza fenditure, senza quello scuotimento che è essenziale per l’esperienza artistica. Il bello digitale raggiunge la massima cifra della rinuncia alla profondità e alla complessità nel selfie. Nessun carattere dietro quella facciata. Forse bisogna tornare a quanto detto da Platone, nel non rapportarsi al bello in modo passivo e consumistico ma in modo attivo e generativo, cioè sotto il segno di Eros, rimettendolo al centro di tutto ciò che possiamo compiere, immaginare, creare, senza temere l’abisso o lo smarrimento. Dove dimora Eros torniamo a generare nella e per la Bellezza.
Delmenico Rebecca